Il dopo
Longarone dopo la sciagura
La storia di una ricostruzione fisica e sociale
Il paese si ricostruisce, con le sue scuole, le sue industrie… anche con le sue chiese: ciò che non si può ricostruire è la sua comunità.
La società attuale
Oggi Longarone è rinata; la ricostruzione è terminata negli anni ’80 e – di fatto – da qualche tempo è già iniziata l’opera di ristrutturazione, un’opera che dovrebbe dare un volto nuovo a questa cittadina, che non è mai stata apprezzata nemmeno dai suoi stessi abitanti. Attualmente infatti la comunità di Longarone presenta ancora un’enorme ferita al suo interno: innanzitutto mancano all’appello ben 1450 abitanti; inoltre questa comunità è composta da coloro che c’erano prima, i superstiti, che hanno vissuto direttamente questa tragedia e che nel loro intimo continuano a vivere nella vecchia amata Longarone; poi ci sono i loro figli, nati ad anni di distanza dal disastro, ma cresciuti con questa storia nelle orecchie e con le immagini del prima sempre davanti agli occhi, nati e vissuti nella nuova Longarone, ma con le foto del vecchio paese nella mente, anche se spesso faticano a collocarle nello spazio; e poi ci sono coloro che, come in tutte le città del mondo, sono arrivati da fuori, negli ultimi anni: loro si stabiliscono a Longarone come fosse una cittadina qualunque, molte volte senza nulla o poco sapere del passato di questo territorio, quindi vivono qui spesso senza rispettarne il passato proprio perché non lo conoscono.
Si tratta di ferite che solo il tempo potrà rimarginare; non è possibile pensare che il tempo cancelli nella mente dei superstiti ciò che loro hanno vissuto né che annulli nella mente dei figli i racconti dei loro famigliari… il tempo potrà solo sbiadire, generazione dopo generazione, il dolore sopportato, ma non sarebbe giusto che il tempo sbiadisse totalmente il ricordo di questa tragedia, che ha ancora molto da insegnare alle generazioni future.
La rinascita
Con la distruzione totale di un paese spariscono i segni storici del passato e resta lo sgomento, la disperazione e il ricordo di ciò che non c’è più e che mai si riavrà.
Il vero dramma, il vero Vajont, comincia dopo il passaggio dell’onda distruttrice, quando si ha l’amara scoperta di un mondo interamente cancellato. Ma è proprio in quei momenti di disperazione che si sente nascere e crescere dentro una forza tenace e testarda, la volontà di ricostruire il proprio paese e la propria comunità.
Nei giorni successivi al disastro venne affrontato dai pianificatori la problematica della ricostruzione; vennero definiti gli obiettivi generali di un piano urbanistico, i principi fondamentali del “piano Samonà”:
1- ricostruzione di Longarone sullo stesso posto del medesimo abitato;
2- integrazione dell’abitato di Longarone con quello di Castellavazzo e delle frazioni di fondo valle;
3- articolazione interna di questo sistema di urbanizzazione;
4- integrazione del sistema dei due Comuni nel quadro di un più vasto territorio a carattere comprensoriale.
Il nucleo abitativo della vecchia Longarone era costituito dalla strada statale, che aveva un andamento serpeggiante, e dalle case più importanti edificate lungo quest’asse. Ricostruire sullo stesso posto significava anche ricostruire con i parametri abitativi odierni, con i modelli di abitabilità adeguati ai nuovi standard costruttivi.
La nuova Longarone
La nuova Longarone esprime una tipologia architettonica molto lontana da quelle tradizionali dei paesetti di montagna: è un centro immerso nel cemento armato, molto criticato e poco accettato dagli stessi longaronesi.
Alcuni edifici portano la firma di illustri architetti, dalle scuole elementari (Arch. Dardi), alle case a schiera “Bunker” (Arch. Pastor), alle gradinate (Arch. Tentori).
Si potrebbe azzardare che un lato positivo della tragedia del Vajont lo si potrebbe rinvenire nella modernità che è arrivata con la ricostruzione: una modernità sia a livello industriale, sia a livello domestico, ma non si può assolutamente fare a meno di ammettere che questa stessa modernità sarebbe comunque arrivata, anche senza il disastro del Vajont, magari con qualche anno di ritardo, ma magari anche con un prezzo meno caro da pagare.
Le vittime
All’alba del 10 ottobre 1963 la visione che si presenta ai pochi superstiti ed ai primi soccorritori è impressionante: sono totalmente scomparsi gli abitati di Longarone, Pirago, Rivalta, Vajont, Villanova, Faè basso; è stato parzialmente distrutto il paese di Codissago. Sul versante friulano sono scomparse le borgate di Le Spesse, parzialmente San Martino, Pineda e Fresegn.
Senz’altro più dolorose sono le conseguenze sulle vite umane: 1910 le vittime complessive di questa tragedia, di cui 1450 nel Comune di Longarone, 111 in quello di Castellavazzo, 158 ad Erto e Casso, 54 al cantiere della diga ed altre 137 originarie di altri Comuni. Per giorni e settimane non si riesce a contare il numero delle vittime; gli organi di stampa parlano di oltre 3000 vittime portate anche a parecchi chilometri di distanza dal luogo dell’immane tragedia.
I soccorritori
I primi soccorsi giungono nella valle devastata nelle ore immediatamente successive al disastro; dalle varie caserme della provincia si muovono gli alpini, i vigili del fuoco, i finanzieri, i mezzi di soccorso a cui si aggiungono nella mattinata successiva le forze americane e il 4° Corpo d’Armata di Bolzano. Non è possibile elencare quanti si sono prodigati con grande umanità nelle opere di soccorso, nel recupero, nella ricomposizione e nel riconoscimento delle salme. Queste ultime attività si svolgevano a Fortogna con un’equipe di medici da Ljubijana coadiuvata da personale bellunese. Intanto nel Palazzo Piloni, a Belluno, viene aperto un ufficio per esporre tutte le foto delle salme recuperate per dar modo ai parenti di procedere all’identificazione, spesse resa possibile solo da un anello o da una catenina.
Non c’è stata istituzione religiosa, civile o militare che non abbia prestato aiuto in qualche modo; molti giovani di leva hanno combattuto la loro guerra sul campo spianato dall’onda del Vajont. A loro e a tutti i soccorritori, i superstiti e le Amministrazioni Comunali congiunte hanno voluto dedicare, in segno di eterna gratitudine, la giornata del 35° anniversario della tragedia, invitandoli ad un fraterno incontro.
Sono poi seguite tante opere di solidarietà, tra le quali si ricorda l’opera di soggiorno offerta agli orfani dal Comune di Bagni di Lucca, motivo del successivo gemellaggio.
I superstiti
La generosità di tanti soccorritori che hanno dato senza mai chiedere nulla in cambio ha in parte riscattato il male di chi ignorò il valore di tante vite umane, orribilmente perdute, sacrificate per l’interesse del denaro, del successo e del progresso.
I superstiti, colpiti dall’immane disastro, spesso ritrovatisi soli, privati di parenti, amici e ogni bene, hanno avuto una forza incredibile: chi perde la casa o la famiglia deve ripartire da zero, ma chi in un brevissimo istante perde, oltre alla casa e alla famiglia, anche la sua storia, il suo paese, le sue tradizioni, deve ripartire da sotto zero… i superstiti ce l’hanno fatta, volendo ripartire e ricominciare proprio lì, dove tutto si era interrotto quella notte maledetta, opponendosi fermamente all’idea iniziale di ricostruire Longarone verso Belluno, all’incirca nella zona dell’attuale località di Safforze.